In un determinato periodo storico, quello che va dalla metà del 1500 a tutto il 1800, l'olio venne considerato una materia più che preziosa, un vero tesoro paragonabile al petrolio e all'oro. A quell'epoca, il prezioso liquido era estratto in ambienti che, visitati oggi, hanno il sapore e l'atmosfera di luoghi sacri e misteriosi, nascosti tra i palazzi di Gallipoli e di altre località del Salento.
La storia dei frantoi ipogei
I frantoi, come quello importante del Vicerè, vengono chiamati ipogei perché furono realizzati sottoterra, riadattando antichissimi granai costruiti dalla popolazione che molti secoli prima occupava il suolo della contemporanea Puglia, i Messapi. Nel dialetto salentino i frantoi vengono anche chiamati "trappeti".
L'olio estratto in questi frantoi veniva chiamato con il suggestivo nome "lampante" perché era utilizzato per essere bruciato e produrre luce; la sua particolare natura lo rendeva un olio grasso e che durante la combustione non produceva fumo.
Per anni l'olio salentino permise di rischiarare le strade di numerose capitali europee, Parigi, Londra, Vienna, Amsterdam, finché l'avvento dell'illuminazione elettrica mandò in crisi questo particolare settore di esportazione, in cui i salentini erano stati così abili e richiesti.
Nel periodo di maggiore produzione, nella zona di Gallipoli si contavano circa 35 frantoi, occupati incessantemente, tra settembre e aprile, nel lavoro di estrazione dell'olio. L'ambiente sotterraneo dei frantoi era ideale per produrre l'olio: la temperatura lì si mantiene costante attorno ai venti gradi, condizione grazie alla quale l'olio non si deteriora e non si solidifica, ma mantiene intatte consistenza e proprietà.
Scavati tra i due e i cinque metri di profondità rispetto al livello stradale, i frantoi avevano una scala che conduceva all'ambiente principale, contenente la vasca per la "macinatura" delle olive, chiamata molitura; in questo ambiente erano poi posizionati i torchi, utilizzati nella successiva fase di estrazione dell'olio.
Gli uomini, che erano prestavano la loro manodopera a uno dei lavori più remunerati e ambiti, condividevano lo spazio con gli animali utilizzati per muovere la macina; trascorrevano qui tutta la stagione, esposti all'umidità e ai germi, senza mai uscire, respirando attraverso fori praticati nella volta del frantoio.
Il frantoio del Vicerè oggi: un tesoro da scoprire
Tra le vie del centro storico di Gallipoli ci si imbatte quasi per caso nelle vestigia di una tradizione così profonda e radicata nella terra e nei suoi abitanti: si tratta di due frantoi sotterranei, un piccolo numero rispetto a quelli - se ne stimano 35 - che furono attivi in passato: uno si trova all'interno di palazzo Granafei; l'altro, poco distante, è stato ritrovato solo nel 2002, ristrutturato e finalmente aperto al pubblico nel 2013: il frantoio del Vicerè.
Entrare in quest piccolo ma molto suggestivo frantoio è come fare un salto indietro nel tempo. All'interno, una guida narra ai visitatori la storia di come fu costruito, spiega come veniva prodotto l'olio, ricorda le condizioni a cui i lavoratori si piegavano per mesi, portando a casa alla fine della stagione una paga preziosa con cui avrebbero sfamato la propria famiglia per molto tempo.
Durante la dominazione borbonica e la suddivisione in province amministrative del Regno delle Due Sicilie, il titolo di Vicerè era attribuito al governatore locale. L'origine dell'attribuzione è incerta, ma possiamo pensare che il Vicerè volle ricavare il frantoio per aumentare la produzione dell'olio lampante da vendere in Europa.
Oggi il frantoio è meta costante dei turisti e parte integrante delle iniziative culturali della zona: nel periodo natalizio, ad esempio, il frantoio del Vicerè diventa la suggestiva cornice di presepi composti dagli artigiani locali.