cotognata

Non è una semplice confettura, la cotognata leccese. È una delizia per il palato tipica della tradizione salentina!

Ricavata dalla cottura ad arte delle mele cotogne, frutto antico e quasi dimenticato, questa preparazione di pochi ingredienti merita ancor oggi di essere conosciuta, per essere maggiormente apprezzata, da grandi e piccini.

Cotognata leccese: riserva di dolcezza per l’inverno

Alla preparazione di questa leccornia del passato si dedicano ancora gli appassionati di cucina, in autunno, periodo in cui si raccolgono le mele cotogne ormai mature, come indica la buccia che assume toni giallo oro perdendo la caratteristica peluria che la ricopre. Un tempo questo dolce assai semplice, composto solo di due ingredienti: le mele cotogne e lo zucchero, appena aromatizzate con un po’ di limone o di cannella, era tra i pochissimi cibi dolci della povera tavola invernale. Una sorta di coccola zuccherina che le mamme premurose non mancavano di avere come scorta per le giornate fredde, apprezzata però anche dai palati degli adulti.

Gli zuccherosi cubetti di cotognata, o le monoporzioni realizzate con gli appositi stampini, rallegravano con il loro colore aranciato la tavola durante i mesi autunnali ed erano immancabili nelle feste natalizie. Essendo la preparazione gelatinosa adatta a conservarsi anche a temperatura ambiente per diversi mesi.

Pochi ingredienti e un po’ di pazienza, per la ricetta della cotognata

Il procedimento per preparare la cotognata è quanto mai semplice. Si comincia lavando le mele cotogne e strofinandole affinché non resti alcuna traccia di peluria, volendo si possono anche pelare ma la ricetta tradizionale le prevede complete di buccia. Avendole private del torsolo si tagliano poi a cubetti e si mettono a bollire per una quarantina di minuti fino a che si saranno ammorbidite. Si scolano i pezzi di mela cotogna e si trasferiscono in una casseruola con l’equivalente del peso, o poco meno, in zucchero di canna. Si procede quindi con una lenta cottura, schiacciando i cubetti con un cucchiaio di legno al fine di ridurre le mele cotogne in purea. Si continua a far bollire e a rimestare, aggiungendo al composto un po’ di succo di limone e, a piacere, della cannella. Si lascia cuocere mescolando fino a che il composto avrà raggiunto una notevole corposità e un colore ambrato scuro tendente all’arancio, cosa che avverrà in mezz’ora/un’ora, grazie all’alto contenuto di pectina del frutto. L’ormai denso e asciutto composto verrà versato negli stampini leggermente unti, o steso in uno strato omogeneo di un dito di spessore in una teglia oleata o foderata di carta da forno.

Riposta in luogo fresco e asciutto, adeguatamente arieggiato, si lascerà la cotognata ad asciugare per almeno dieci giorni, dopodiché la si sformerà oppure si taglierà a quadrotti regolari, per poi passarla nello zucchero. Le gelatinose forme zuccherate così ottenute, si conservano per lungo tempo in un contenitore in cui si avrà avuto cura di disporle alternandole a foglie di alloro essiccate, che ne assorbiranno l’umidità. Riporle nel frigo ne prolunga la conservazione evitando la formazione di muffe.

La "cutugnata" salentina

Che la cotognata sia una preparazione tradizionale del territorio leccese non stupisce. Il melo cotogno trova infatti nei terreni alluvionali dell’area compresa tra Lecce e San Pietro in Lama, un ambiente quanto mai favorevole alla crescita.

La mela cotogna, di cui dall’antichità si decantano le virtù e le proprietà curative, nella sua versione di "cutugnata", figurava nelle razioni militari, nei refettori scolastici e nelle mense, fino agli anni ’60 e al predominare sul mercato del cibo industriale confezionato. Nel 1884, su iniziativa del Cavalier Cesano, a Lecce se ne produceva un tipo a grana finissima, con il suo marchio; ma ai giorni nostri ne è rimasta traccia più nella memoria dei salentini che sulle tavole, anche se alcuni laboratori artigianali tentano di elevarla e promuoverla rivalutandola al pari di una sofisticata prelibatezza, quale in effetti è.

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